Colosseo Nuovo teatro 28/3-15/4/2007 “Renata” di Paolo Musìo, con Barbara Valmorin, Fabio Bussotti, Federica Bern. Regia Werner Waas. Prod. RLG associazione. Si ringraziano per la preziosa collaborazione: Alessandra Terni, Giancarlo Savino, Carlo Hintermann, N.C. s.r.l. Le diapositive sono state gentilmente concesse da Mario Dondero.
Renata è una donna che ha vissuto la stagione delle lotte civili, dopo la morte di Pietro, il compagno di una vita, si sostituisce a lui sul posto di lavoro. Si infila la giacca di Pietro e va, certa che nell’indifferenza generale nessuno si accorgerà dello scambio. E’ un lavoro da nulla quello che lui negli ultimi anni si era trovato a fare. Alla sera Renata parla con Gino che le porta da bere dal bar sotto casa. Renata entra nella parte a lei sconosciuta della vita di Pietro, conosce una ragazza con cui lui parlava, fa i conti una volta di più col presente, in un mondo in continuo, rapido mutamento. Desta sempre stupore lo sforzo eroico e un pò patetico della povera piantina, del ciuffo d’erba nato in cima ad un pilastro di cemento o in una fessura dell’asfalto. Come avrà fatto a venir fuori così, senza terra, ci si domanda ogni volta. Amico il caso, arrivata la stagione giusta, la vita inventa le soluzioni, pur di seguire il suo corso. Così a volte accade nelle cose dell’arte. Maturate le condizioni, si parte per l’avventura. Si parte comunque. Il contesto è quello che è: i progetti irrealizzati si affastellano, affollano le menti di artisti e operatori, riempiendole di chimere, niente vale la parola data e nell’evanescenza delle responsabilità persone oneste prendono impegni che non potranno rispettare e poi svaniscono con le loro chiacchiere, evaporano, persone prima così presenti ora irraggiungibili, come fossero state sognate, non fossero mai esistite. E i soldi e gli spazi e il solito piagnisteo. Eppure, per quanto paralizzato dalla propria avarizia senile, il sistema teatrale, evidentemente non ancora del tutto blindato, permette ancora non può nulla contro lo slancio della pura e semplice necessità di espressione. Essa ricava da se stessa i suoi spazi, libera le migliori energie e ancora una volta la vita segue il suo corso. Lo spettacolo Renata è stato fortemente voluto da tutti coloro che lo hanno realizzato in condizioni di assoluta incertezza. Non è certo un caso isolato. Attenzione: chi vuole definitivamente spegnere la vitalità e la generosa spinta creativa di molti artisti presenti oggi in Italia, sappia che per lui c’è ancora molto lavoro da fare. L’arte non aspetta i tempi della politica e dell’amministrazione del potere, proponendosi essa stessa come azione politica. Renata parla del tempo presente e il modo in cui è stato realizzato lo spettacolo è una cosa sola con la sostanza del suo racconto. Ho scritto Renata in parte in un inverno di lavoro a Milano e in parte in primavera a Roma, camminando per le strade o seduto su qualche gradino o appoggiato alle macchine parcheggiate ovunque. A volte in qualche scintillante e silenziosa mattina lungo le rive del lago di Bracciano che tutti ormai conoscono perché è il posto in cui vengono a sposarsi le star internazionali. Io abito poco lontano. Avevo ragionamenti da fare ad alta voce e vibrazioni intime di cui volevo ascoltare le risonanze. Ho usato situazioni, persone reali, personaggi come parti di sentimenti incompleti a confronto nel tentativo di mettere a fuoco, possibilmente senza fermarlo, un precario senso del tempo. Possibili rifrazioni fra una dimensione privata, degli affetti ed una pubblica, delle passioni civili, in un mondo che cambia in fretta. Uno parla e l’altro ascolta. O parla con l’assente. O parla al pubblico. Oppure sta zitto. Senso di estraneità, senso della posizione. Ideologia. Lutto. Solitudine. Un panorama di rovine. Un deserto. Futilità del lavoro, opportunità create dai fallimenti.
Nessuna particolare nostalgia degli anni settanta, nè degli ottanta o dei novanta, o del duemilasei che ci sta lasciando.